martedì 20 febbraio 2007

Peter Rofrano il decano

A colloquio con p. Peter Rofrano

Nel viaggio di visita in USA abbiamo incontrato anche un veterano della pastorale di emigrazione, padre Peter Rofrano, pallottino che con i suoi 90 anni ben portati potrebbe essere dichiarato decano nella metropoli di New York.
I genitori provenivano da Sala Consilina nel Salernitano. La mamma, 18 anni, e il papà, 20 anni, si conoscono, si comprendono e con coraggio giovanile si sposano nel nuovo mondo in cui si erano trovati senza scelta ma per la necessità comune a tanti compaesani, siamo negli anni ’20.
Una famiglia solida e generosa secondo la tradizione nostrana: 10 figli, con Peter a metà della scala. Tre muoiono prematuramente ma gli altri crescono sani e ben formati.
Papà forte lavoratore, la mamma solerte casalinga. La vocazione al sacerdozio venne a Peter quando conobbe i padri Pallottini. Senza ripensamenti, con giovanile entusiasmo entra nella famiglia del santo prete romano, Vincenzo Pallotti.
Ordinato sacerdote nel 1939 passa sei anni in Italia, gli anni oscuri della guerra mondiale.
Rientra in America da dove non si muove se non per viaggi sporadici.
Due volte parroco della chiesa di sant’Anna, allora la chiesa degli italiani, e due volte parroco della chiesa Madonna del Carmelo di Arlem, dove tuttora vive.
Buon predicatore e grande organizzatore permette agli italiani di vivere come comunità aggregata alla chiesa. La perfetta conoscenza anche della lingua italiana (per due volte è stato traduttore inglese-italiano nei capitoli della sua congregazione) e le sue origini lo facilitano grandemente.
La comunità italiana era composta da gente venuta all’avventura nel paese delle grandi promesse, l’America.
Gente che, una volta arrivata, doveva subito fare i conti con la durezza del lavoro, le difficoltà dell’inserimento, le incertezze del futuro.
Ma speranza e coraggio non sono mai venuti meno. Anche la chiesa, soprattutto quella rappresentata dai sacerdoti dediti all’assistenza pastorale etnica, cerca di dare una mano.
Le parrocchie nazionali sono un po’ la risposta al “problema italiano” come dicevano i vescovi americani, notando la poca partecipazione degli italiani.
Oggi bisogna ripensarla e rivitalizzarla. Il sacerdote Pallotti, lo ricorda padre Rofrano con comprensibile orgoglio, è stato il primo ad avvertire questa necessità e a volervi provvedere con i suoi sacerdoti. Un precedente era costituito solo dalla madre Francesca Saverio Cabrini, la “madre degli emigrati”, che però si rivolgeva quasi esclusivamente alle ragazze. Il Pallotti aveva l’intenzione di fondare anche qui una chiesa italiana, come edificio attorno a cui riunire gli emigrati, su modello di quanto aveva fatto a Londra nel 1846. Ma la morte, 1850, affossò questo progetto. Se fosse vissuto, avrebbe però visto con soddisfazione, una chiesa, sant’Anna, finalizzata agli italiani ed eretta dai suoi sacerdoti nel 1860, ed è attorno alla attigua chiesa del Carmine che si creano le strutture necessarie alla pastorale. Ed è qui che nasce e si concentra la festa annuale degli italiani, il 15 luglio festa del Carmine. Frequentatissima e lo testimoniano le foto appese nella sacrestia, perde di valore con il trasloco di quasi tutta la comunità da quella zona di Harlem che diviene meta di una numerosa comunità di sudamericani.
E Padre Rofrano non nasconde la sua amarezza per la disdetta all’ultimo momento del Cardinale che avrebbe dovuto onorare il centenario dell’incoronazione della statua della madonna del Carmine avvenuta per opera di San Pio X nel 1904.
Che perduri ancora l’ombra di mafiosi sulla comunità italiana già funesta nei primi tempi?
Ora la società americana e tanto più in questa zona è ancor più multiculturale e multiconfessionale e la Chiesa rischia di perdere contatto con la gente.
La pastorale italiana è gradita, ma diverse situazioni hanno indotto la Diocesi a chiudere l’ufficio per la coordinazione dell’apostolato italiano e si rischia che tale apostolato sia consegnato alla buona volontà di alcuni sacerdoti, al di fuori di un progetto ed una pianificazione diocesana. D’altra parte se la componente anziana della comunità gradisce il riferimento tradizionale in cui si ritrova ampiamente, non si deve dimenticare l’urgenza di rispondere adeguatamente alle nuove realtà migranti che arrivano sul quartiere e che hanno bisogno di spazi e cure per una cura pastorale.
Rinunciare troppo in fretta alle messe e celebrazione in italiano rischia che oltre la lingua si perde anche la pratica religiosa. Sono sempre irrinunciabili i sacerdoti con passione e sentimento italiano che sanno coltivare una vicinanza ed una presenza in mezzo alle persone che facilita adesione e pratica. E Padre Rofrano attende simili sacerdoti.

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