martedì 20 febbraio 2007

Non ci sono più Italiani a New York

Degli italiani emigrati da lungo tempo sembrano perdersi le tracce a Manatthan.
L’evoluzione delle cose e dei tempi ha visto i discendenti degli italiani prendere altre direzioni. Molti italiani sono pure morti e da queste parti, colpiscono i moltissimi ed immensi cimiteri. Si trovano presenze e numeri interessanti a Brooklin e nel Queens, ma altrove l’italianità e ben nascosta da altre presente straniere ben più numerose e giovani.
Ultimo segnale, proprio di questi anni, è quello delle chiese italiane che vengono chiuse o affidate ad altre comunità linguistiche, per lo più latinos di lingua spagnola o portoghese, indiani e filippini.
Nella Diocesi di New York da almeno cinque anni non c’è più l’ufficio pastorale dell’apostolato italiano, la messa in lingua italiana la si trova solo in pochissime chiese e con una partecipazione assai limitata ed i sacerdoti italiani o italo-americani che si occupano degli italiani sono diventati una rarità.
Ora si aggiunge che la pianificazione non riesce a coinvolgere gli anziani italiani per condividere nel dialogo scelte di chiusura o trasformazione di strutture o edifici sacri pur costruiti con l’apporto generoso di moltissime persone, e questo suscita la reazione di alcune persone ben motivate che hanno impegnato molti anni e molta passione per la propria comunità cristiana di origine italiana.
Rabbia, delusione, contestazione sono i sentimenti che vengono espressi e nel fondo resta una gran tristezza per una vitalità italiana che scompare insieme ai preti italiani che si sono fatti molto anziani e non hanno più forze.
Altre diocesi d’america, Brooklin ne è un esempio, hanno provveduto a formare sacerdoti nella lingua italiana accanto ad un incoraggiamento per la lingua spagnola, hanno mantenuto relazioni con la Chiesa d’Italia, hanno cercato sacerdoti che provenissero direttamente dall’Italia e che apprendessero bene la lingua inglese ed ancora oggi contano molte chiese che assicurano messe ed iniziative in lingua italiana.
A New York sembra che si tenga conto solo degli italiani della new economy, che vanno e vengono, che fanno parte di una mobilità sempre più veloce e talmente poco radicata sul territorio che ha la caratteristica di una solitudine drammatica: sono individualità e non famiglie o gruppi familiari, sono fondazioni, enti e non associazioni.
Non va certo dimenticato che le persone si spostano, tendono verso la periferia in contesti più adeguati e confortevoli o semplicemente sostenibili dal punto di vista economico, mentre le chiese sono strutture che restano fisse e non seguono la comunità che le ha edificate, ma sono certamente adatte ad accogliere nuove comunità giovanili che ben volentieri la frequentano.
C’è pure il fatto che molte comunità immigrate a New York hanno costruito nel tempo le loro cappelle ed oggi nell’area ristretta di pochi chilometri si contano numerose chiese per lo più vuote o frequentate da numeri esigui di cristiani praticanti. Altro fenomeno sociale è che la maggioranza della popolazione si dichiara non più cristiana e non va trascurata la convivenza di diverse sensibilità religiose che hanno espresso moltissime chiese evangeliche o di altra ispirazione religiosa. Tutto questo impone una gestione diversa di questi luoghi di culto che si rivelano sempre più onerosi e poco utilizzati.
Una considerazione sembra prevalere: una pastorale che si riferisca agli italiani anziani praticanti avrà la durata di un decennio al massimo, una pastorale che sceglie le nuove generazioni, ha l’obbligo di scegliere la piazza e le strade perché deve partire dall’incontro con le persone e portare l’annuncio là dove la gente vive e si incontra.

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